«MARADONA È MEGL'E PELÉ L'HO SCRITTA IO, VI RACCONTO TUTTO»
Oggi il Nostro Eterno Amore compie 55 anni. Gli facciamo gli auguri riproponendo quest’intervista all’autore dell’indimenticabile inno, Bruno Lanza: «Avevo migliaia di cassette pronte molto prima che si chiudesse col Barça». CON INTERVISTA VIDEO
di Errico Novi
«Sì che vorrei conoscerlo, Diego. Gli vorrei dire: ecco sai, Maradona è megl’e Pelé l’ho scritta io».
Bruno Lanza è uno che la sera corre a casa di Andrea Bocelli e gli confeziona In-canto. Ha scritto l’intero repertorio di Gigi Finizio, tutte le sere Un posto al sole si apre con la sigla firmata da lui, è il paroliere di Nino D’Angelo in MenteCuore, ha imperversato per una dozzina d’anni tra reti campane e Mediaset con i Gipsy Fint, emuli goliardici dei Gipsy Kings. Insomma, se c’è un autore eclettico a Napoli quello è lui. Ma quando racconta la favola di Maradona è megl’è Pelé gli brillano gli occhi. Lanza non è nemmeno un supertifoso. «Però con l’arrivo di Diego cominciai a vedere le partite. C’ero anch’io quando segnò quel gol alla Juve sotto la pioggia». Sì, certo. Quella domenica pomeriggio del novembre 1985, quando il Nostro Eterno Amore scardinò un tabù di quindici anni, c’era tanta pioggia da fare tutt’uno con le lacrime di gioia.
Ecco, il compleanno numero cinquantatré di Diego lo festeggiamo con questa incredibile storia. E con il suo protagonista, che ci racconta tutto (VEDI ANCHE INTERVISTA VIDEO POSTATA SOTTO L'ARTICOLO). «Non facevo inni per il Napoli. Avrò scritto 700 canzoni, mai niente a che vedere con il calcio. Fino al giugno dell’84. Si presenta a casa Emilio Campassi, musicista conosciuto, collaboravamo spesso: lui è un estroso, un bazariota... Non se la passa bene, in quel periodo, ma sotto al braccio ha una mazzetta di quotidiani che non finisce più. “Che ci devi fare?”. “Il Napoli sta per comprare Maradona”. Mi prende in contropiede. Quel nome lo ricordavo, ma lì per lì mi scappa un “...e chi è Maradona?”. Apriti cielo: Emilio mi sommerge di insulti».
Cioè, lei ha scritto l’Inno a Maradona, ha scolpito quella sentenza incancellabile, Maradona è megl’e Pelé, senza sapere nemmeno chi fosse Maradona?
Esatto. Sì, a pensarci bene sto giocatore riccioluto con la maglia del Barcellona l’avrò pure visto, ma di calcio non capisco niente.
E Campassi come riesce a convincerla?
Quella mattina la cosa finisce lì. Dopo qualche giorno ci rivediamo di nuovo qui vicino casa mia, a piazza Carlo III. Emilio è di nuovo sommerso dai giornali. Sempre questa storia della trattativa di Juliano a Barcellona. “Ma è mai possibile, non capisci? Questo è il giocatore più forte del mondo”. Con la cautela dell’incompetente rispondo: “Ma non era Pelè il più forte? Ma allora scusa, Maradona è megl’e Pelè?...”. In un centesimo di secondo capisco che quella frase è perfetta. È uno slogan. Saliamo le scale di corsa, entriamo a casa, ho il pianoforte, facciamo la canzone in venti-venticinque minuti. La mia domanda, ovviamente, diventa un’affermazione definitiva: Maradona è megl’e Pelé...
Che meraviglia.
Ecco, sì, ma non l’abbiamo ancora incisa. Abbiamo il testo, la musica, tutto. Ma la si deve registrare. Qui interviene il fiuto commerciale di Emilio, mi trascina allo Studio sette di via Santa Lucia. Il nastro c’è. Lo stampiamo. Anche se il Napoli non ha ancora comprato Maradona.
Quante copie fate?
Trentacinquemila.
Un’enormità: nemmeno siete sicuri che viene a Napoli.
Un’inezia rispetto a quello che sta per succedere. Si fa sotto anche un’associazione di tifosi, l’Acan di Ciro Marchitelli. Si offrono di curare la distribuzione dell’inno. Intanto i soldi della sala e soprattutto quelli dei nastri li abbiamo messi noi. Comincio a comprare anch’io i giornali tutte le mattine. Viene, non viene... avevo il cuore per aria.
Lo credo bene.
A casa mia ci sono i cartoni con le trentacinquemila cassette. Due canzoni soltanto: Maradona è megl’e Pelè e Tango di Maradona, cover di una celebre canzone argentina.
I cartoni con trentacinquemila nastri... e Maradona nemmeno era ancora del Napoli.
Passa ancora qualche giorno. Arriva la sera del 30 giugno. Le trasmissioni di tutte le tivù private napoletane all’improvviso si fermano: da Canale 21 a Telestudio 50 c’è solo una scritta in sovraimpressione: Maradona è del Napoli.
La notte che cambia la nostra vita.
Dopo due minuti e mezzo a piazza Trieste e Trento c’è un carosello con centinaia di macchine: hanno già tutti quanti il nastro con la canzone, sparata a tutto volume. Come ve lo eravate spiegati?...
Svelato il mistero.
Eravamo stati buoni profeti. Sono tutti già lì a strombazzarla felici, cinque minuti dopo. Miracolo napoletano.
Ma non fu un miracolo economico.
Vendiamo le trentacinquemila cassette. Ma la macchina del falso si mette a correre a velocità pazzesca. Alla fine secondo i nostri calcoli si contano 2 milioni, dico 2 milioni di nastri pirata venduti. Se ne avessi incassato i diritti mi sarei messo in tasca un miliardo di lire. Ma non andò così. Ci avrò guadagnato meno di tre milioni di lire, altrettanti il compianto Campassi. Non avevamo i soldi per fare una nuova stampa ufficiale, e così ci arrendemmo alle bancarelle.
Lo rimpiange?
Sono di sinistra da sempre. Grazie a quella canzone hanno campato centinaia di migliaia di persone. Ricordo i carretti con i nastri e la canzone a tutto volume. Li guardavo senza dire nulla. Ma mi faceva solo piacere. Maradona chiese di conoscere l’interprete della canzone, che era appunto Emilio. Il quale cominciò a ricevere inviti a tutte le feste del Napoli. Emilio è diventato amico di Diego, ha fatto per anni una vita pirotecnica, da che doveva destreggiarsi nell’emergenza quotidiana.
E lei niente, non ci andava a quelle feste in cui Maradona è megl’e Pelè era il clou della serata?
No, guardavo questa giostra incredibile dall’esterno. Non mi è mai venuto di dire “l’autore sono io”.
E non ha mai conosciuto Diego.
Mai. Ma a questo punto mi farebbe piacere. Mi presenterei così, gli direi “sono quello che ha scritto Maradona è megl’e Pelè”. Tutto qui.
È una storia bellissima.
Quell’inno era divertente quando lo scrissi. Passato il tempo, andato via Diego mi è sembrato prima malinconico e oggi commovente. Anche per quella che è stata la vita di Maradona.
Ma secondo lei il calcio può dare speranza a un popolo?
Non ho grande considerazione del calcio come strumento di riscatto sociale. Anzi, temo diventi facilmente l’oppio con cui i popoli cercano di dimenticare i loro guai.
Quindi quando lei dice nella canzone “...nun putimme cchiù aspetta’, finalmente ce putimme vendica’...”, si riferisce solo a una vendetta sportiva.
Maradona è diventato il simbolo di un riscatto contro il potere economico del Nord. Fateci caso: il nostro tifo è più acceso contro le squadre che rappresentano quel potere, Juve e Milan soprattutto. Il napoletano che fa i salti mortali per sopravvivere si scaglia con foga contro chi ritiene responsabile della sua condizione. Ma quella vendetta è falsa. I guai si affrontano con una rivoluzione culturale, politica, non con il placebo del pallone.
È vero ed è ancora più amaro sentirlo dire da chi ha scritto Maradona è megl’e Pelè.
Dopo che abbiamo risolto le vere contraddizioni andiamo allo stadio, che deve essere luogo di festa e non di riscatto. Io però mi inchino di fronte a Maradona: all’individuo, non al calciatore. Lui si è sempre scagliato contro il potere. Dovremmo prenderlo a esempio anche da questo punto di vista, e riscoprire dentro di noi la Napoli delle Quattro giornate.
Ma che auguri si sente di fare a Diego?
Gli auguri di Bruno Lanza a Maradona sono innanzitutto all’uomo che non è mai diventato uomo di potere. Faccio gli auguri a Maradona nemico dei prepotenti.
Pelè ha smesso di giocare e il giorno dopo è diventato uomo di potere.
Maradona è megl’e Pelè. Ancora una volta.
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