La Prescrizione non scatta se opere abusive non risultano
effettivamente ultimate
Cassazione penale , sez. III, sentenza 03.11.2011 n° 39733
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 3 novembre 2011, n. 39733
Svolgimento del processo
Con ordinanza
del 21 dicembre 2010, il Tribunale di Catanzaro, quale giudice del riesame,
confermava il decreto del G.I.P. del Tribunale di Lamezia Terme emesso il 27
novembre 2010 e con il quale veniva disposto il sequestro preventivo di tre
manufatti, realizzati in assenza di permesso di costruire in violazione del
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè delle disposizioni in materia
di costruzioni in zone sismiche e sulle opere in cemento armato ed in ordine
alle quali risultava indagato, unitamente ad altre persone, V.P..
Avverso tale
ordinanza il predetto proponeva ricorso per cassazione.
Premessa una
descrizione della vicenda processuale e dei contenuti della richiesta di
riesame deduceva, con un primo motivo di ricorso, l'inosservanza e l'erronea
applicazione degli artt. 157 e 158 c.p., osservando di aver documentalmente
dimostrato la intervenuta prescrizione dei reati ipotizzati sulla scorta di
verbali di perquisizione e contratti di utenze relative alla fornitura di
elettricità e linee telefoniche che, contrariamente a quanto sostenuto dal
Tribunale, comprovavano una funzionalità all'uso degli immobili sequestrati
risalente negli anni.
Con un secondo
motivo di ricorso deduceva la violazione dell'art. 321 c.p.p. in considerazione
della mancanza di attualità del periculum e dell'assenza di aggravio del carico
urbanistico, trattandosi di interventi ormai realizzati da decenni e non di
nuove costruzioni richiedenti nuove strutture o opere collettive.
Insisteva,
pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è
infondato.
Va
preliminarmente osservato che lo stesso si concreta, sostanzialmente, nella
riproposizione delle questioni già sollevate in sede di riesame ed alle quali i
giudici avevano fornito adeguata risposta.
Il Tribunale,
dopo aver correttamente richiamato l'ambito della propria cognizione come
delineato dalla giurisprudenza di questa Corte e proceduto all'esame dei dati
fattuali documentati dalle risultanze delle prime indagini, pervenendo alla
conclusione che la natura abusiva degli interventi è di macroscopica evidenza,
rileva l'assenza di idonea documentazione fotografica, catastale,
amministrativa o di altro genere, comprovante con certezza la data di
ultimazione degli interventi e, conseguentemente, il momento consumativo dei
reati da considerare ai fini del calcolo della prescrizione.
Evidenzia, in
particolare, che la documentazione prodotta dalla difesa non offre alcun
elemento che fornisca una descrizione dettagliata dello stato dei manufatti.
Tale assunto
viene contestato in ricorso, sostenendo che il completamento funzionale sarebbe
dimostrato dall'esistenza delle utenze e dal fatto che gli immobili fossero
abitati.
Date tali
premesse, occorre ricordare quale sia l'orientamento di questa Corte sul concetto
di ultimazione dell'immobile abusivo.
Si è detto, a
tale proposito, che il reato urbanistico ha infatti natura di reato permanente
la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura
fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva (v. SS. UU. n. 17178, 8
maggio 2002).
Si è poi
precisato (ex pl. Sez. 3 n. 38136, 24 ottobre 2001) che la cessazione
dell'attività si ha con l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera,
con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio mediante
sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo
l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio.
Si è inoltre
chiarito che l'ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di
rifinitura interni ed esterni quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3 n.
32969, 7 settembre 2005 ed altre prec. conf. nella stessa richiamate).
Deve
trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale che
possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal
disposto dell'art. 25, comma 1, cit.
T.U., che
fissa "entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finltura
dell'intervento" il termine per la presentazione allo sportello unico
della domanda di rilascio del certificato di agibilità. Le opere devono essere,
inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto
unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3
4048, 29 gennaio 2003; Sez. 3 n. 34876, 9 settembre 2009). Tali caratteristiche
riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell'abitazione
(Sez. 3 n. 8172, 2 marzo 2010).
Ciò posto,
deve rilevarsi come le conclusioni cui sono pervenuti i giudici del riesame sul
punto appaiano pienamente condivisibili ed in linea con l'orientamento dianzi
delineato.
Correttamente
il Tribunale ha ritenuto, infatti, che fosse necessaria altra e più pregnante
documentazione per dimostrare lo stato di avanzamento dei lavori, poichè la
presenza di utenze - che se effettivamente riferite agli immobili abusivi
sarebbero state attivate in palese violazione del divieto di cui al D.P.R. n.
380 del 2001, art. 48 - e la presenza di persone all'interno del manufatto
dimostrano, al più, che l'immobile era abitato o comunque utilizzato ma non che
l'intervento edilizio potesse ritenersi ultimato nel senso in precedenza
indicato.
Lo stesso
Tribunale considera anche altri dati fattuali, quali l'iter di alcune pratiche
edilizie, una delle quali riferita ad un immobile rurale non reperito all'atto
del sopralluogo e le condizioni di un immobile (individuato con il numero 3)
con il terzo piano ancora non completato.
A fronte di
ciò i giudici del riesame non potevano ritenere determinato il momento
consumativo del reato e, conseguentemente, maturata la prescrizione, poichè la
materiale utilizzazione di un immobile e l'eventuale attivazione di utenze non
sono elementi da soli sufficienti per dimostrare la sua concreta ed effettiva
funzionalità e la presenza di tutti i requisiti di agibilità o abitabilità che
consentano di ritenerlo ultimato.
Occorre
inoltre rilevare che nella stessa direzione dei principi sopra ricordati si
pone anche la pronuncia richiamata in ricorso (Sez. 3 n. 14436/2004), che si
riferiva ad un deposito di attrezzature per il quale si era dimostrata la
sussistenza di tali requisiti.
Va poi
aggiunto che grava comunque sull'indagato che voglia giovarsi della causa
estintiva della prescrizione, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta
in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo
possesso (Sez. 3 n. 19082, 7 maggio 2009; Sez. 3 n. 10585, 11 ottobre 2000) e,
per le medesime ragioni in precedenza indicate, tale onere non poteva ritenersi
adeguatamente assolto.
Il
provvedimento impugnato risulta pertanto, sul punto, del tutto immune da
censure.
A conclusioni
analoghe può pervenirsi anche con riferimento al secondo motivo di ricorso.
Le
contestazioni mosse dalla difesa si fondano, essenzialmente, nel richiamo alla
giurisprudenza delle Sezioni Unite penali di questa Corte (SS. UU. n. 12878, 20
marzo 2003) e nella negazione della sussistenza dei presupposti di
applicabilità della misura reale in considerazione dell'epoca di ultimazione
dei lavori che, come già detto, si assume essere risalente nel tempo, con la
conseguenza che difetterebbe qualsivoglia aggravio del carico urbanistico.
Il Tribunale,
al contrario, riconosce la legittimità del sequestro e, dopo aver ricordato che
il G.I.P. aveva ritenuto applicabile la cautela reale sul presupposto di un
aggravio del carico urbanistico cagionato dalla realizzazione degli immobili in
area agricola, soggetta anche a vincolo idrogeologico, richiama a sua volta la
citata pronuncia delle Sezioni Unite e riconosce la attualità delle esigenze
cautelari, che individua nell'incidenza sul carico urbanistico rappresentata
dalla consistenza dell'insediamento edilizio ed il numero di nuclei familiari
presenti, dall'incremento della domanda di strutture, opere collettive e
dotazione minima di spazi pubblici per abitante, dalla necessità di
salvaguardare l'ambiente e la staticità dei luoghi e, infine, dalla possibilità
che le opere non ancora ultimate siano portate a compimento e le unità non
ancora abitate siano occupate.
Ciò posto,
occorre ricordare che la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite afferma come
il giudice di merito debba valutare attentamente e, conseguentemente, motivare,
la sussistenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del bene
pertinente al reato, considerando, in particolare, "la reale
compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile
a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da
parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione
del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto
costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività". A
titolo di esempio, con specifico riferimento all'incidenza sul carico
urbanistico, si aggiunge che la delibazione in fatto sotto tale profilo deve
essere effettuata considerando la consistenza reale e l'intensità del
pregiudizio temuto, tenendo conto della situazione esistente al momento
dell'adozione della misura.
Sulla nozione
di "carico urbanistico", peraltro, vengono fornite puntuali
indicazioni, osservando, testualmente, che "(...)questa nozione deriva
dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento ed,
primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio
(opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature,
elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve
essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti
insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il
carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario
come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle
persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto,
non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in
considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards
urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 che richiedono l'inclusione,
nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi
pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a
concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di
produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la
costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel
parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo
insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad
autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni
contributo per le opere interne (L. n. 47 del 1985, art. 26 e L. n. 493 del
1993, art. 4, comma 7) che non comportano la creazione di nuove superficie
utili, ferma restando la destinazione dell'immobile;
e)
nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o
diverso carico urbanistico (L. n. 47 del 1985, art. 10 e L. n. 493 del 1993,
art. 4)".
Sulla scia di
tali condivisibili rilievi, altre decisioni successive hanno ulteriormente
delineato i termini della questione, richiamando l'attenzione sulla circostanza
che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al
carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine
alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione
(Sez. 3 n. 4745, 30 gennaio 2008; conf. Sez. 6 n. 21734, 29 maggio 2008; Sez. 2
n. 17170, 5 maggio 2010) e chiarendo che, a tal fine, l'abuso va considerato
unitariamente (Sez. 3 n. 28479, 10 luglio 2009; Sez. 3 n. 18899, 9 maggio
2008).
L'aggravamento
del carico urbanistico è stato riconosciuto anche con riferimento alle ipotesi
di realizzazione di opere interne comportanti il mutamento della originaria
destinazione d'uso di un edificio (Sez. 3 n. 22866, 13 giugno 2007; conf. Sez.
4 n. 34976, 28 settembre 2010).
Nelle
richiamate pronunce vengono, inoltre, indicate ipotesi specifiche di incidenza
dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il
contenuto della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies, come modificato
dalla L. n. 122 del 1989 e L. n. 246 del 2005 il quale richiede, per le nuove
costruzioni ed anche per le aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la
esistenza di appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro
quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione (Sez. 3 n. 28479/09, cit.);
la rilevanza di nuove costruzioni in termini di esigenze di trasporto,
smaltimento rifiuti, viabilità etc. (Sez. 3 n. 22866/07, cit.); l'ulteriore
domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte
dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica
interessata (Sez. 3 n. 34142 23 settembre 2005).
Alla luce
della menzionata giurisprudenza, che il Collegio condivide e dalla quale non
intende discostarsi, deve ritenersi che i giudici del riesame abbiano operato
una corretta valutazione dei presupposti per l'applicazione del sequestro
preventivo con riferimento all'aggravio del carico urbanistico, considerando la
destinazione agricola della zona, le dimensioni del complesso immobiliare ed il
numero di abitanti, facendo quindi buon uso dei suddetti principi.
Non meno
rilevante risulta la considerazione operata dai giudici del riesame circa la
ulteriore esigenza di impedire che le opere non ancora ultimate siano portate a
compimento e quelle non ancora abitate siano occupate.
Anche sul
punto, dunque, l'ordinanza impugnata supera indenne il vaglio di legittimità.
Il ricorso
deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Nessun commento:
Posta un commento