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domenica 6 maggio 2012

...se opere abusive non risultano effettivamente ultimate


La Prescrizione non scatta se opere abusive non risultano effettivamente ultimate

Cassazione penale , sez. III, sentenza 03.11.2011 n° 39733




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 3 novembre 2011, n. 39733


Svolgimento del processo

Con ordinanza del 21 dicembre 2010, il Tribunale di Catanzaro, quale giudice del riesame, confermava il decreto del G.I.P. del Tribunale di Lamezia Terme emesso il 27 novembre 2010 e con il quale veniva disposto il sequestro preventivo di tre manufatti, realizzati in assenza di permesso di costruire in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè delle disposizioni in materia di costruzioni in zone sismiche e sulle opere in cemento armato ed in ordine alle quali risultava indagato, unitamente ad altre persone, V.P..
Avverso tale ordinanza il predetto proponeva ricorso per cassazione.
Premessa una descrizione della vicenda processuale e dei contenuti della richiesta di riesame deduceva, con un primo motivo di ricorso, l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 157 e 158 c.p., osservando di aver documentalmente dimostrato la intervenuta prescrizione dei reati ipotizzati sulla scorta di verbali di perquisizione e contratti di utenze relative alla fornitura di elettricità e linee telefoniche che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, comprovavano una funzionalità all'uso degli immobili sequestrati risalente negli anni.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione dell'art. 321 c.p.p. in considerazione della mancanza di attualità del periculum e dell'assenza di aggravio del carico urbanistico, trattandosi di interventi ormai realizzati da decenni e non di nuove costruzioni richiedenti nuove strutture o opere collettive.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
Va preliminarmente osservato che lo stesso si concreta, sostanzialmente, nella riproposizione delle questioni già sollevate in sede di riesame ed alle quali i giudici avevano fornito adeguata risposta.
Il Tribunale, dopo aver correttamente richiamato l'ambito della propria cognizione come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte e proceduto all'esame dei dati fattuali documentati dalle risultanze delle prime indagini, pervenendo alla conclusione che la natura abusiva degli interventi è di macroscopica evidenza, rileva l'assenza di idonea documentazione fotografica, catastale, amministrativa o di altro genere, comprovante con certezza la data di ultimazione degli interventi e, conseguentemente, il momento consumativo dei reati da considerare ai fini del calcolo della prescrizione.
Evidenzia, in particolare, che la documentazione prodotta dalla difesa non offre alcun elemento che fornisca una descrizione dettagliata dello stato dei manufatti.
Tale assunto viene contestato in ricorso, sostenendo che il completamento funzionale sarebbe dimostrato dall'esistenza delle utenze e dal fatto che gli immobili fossero abitati.
Date tali premesse, occorre ricordare quale sia l'orientamento di questa Corte sul concetto di ultimazione dell'immobile abusivo.
Si è detto, a tale proposito, che il reato urbanistico ha infatti natura di reato permanente la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva (v. SS. UU. n. 17178, 8 maggio 2002).
Si è poi precisato (ex pl. Sez. 3 n. 38136, 24 ottobre 2001) che la cessazione dell'attività si ha con l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio.
Si è inoltre chiarito che l'ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3 n. 32969, 7 settembre 2005 ed altre prec. conf. nella stessa richiamate).
Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto dell'art. 25, comma 1, cit.
T.U., che fissa "entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finltura dell'intervento" il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità. Le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3 4048, 29 gennaio 2003; Sez. 3 n. 34876, 9 settembre 2009). Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell'abitazione (Sez. 3 n. 8172, 2 marzo 2010).
Ciò posto, deve rilevarsi come le conclusioni cui sono pervenuti i giudici del riesame sul punto appaiano pienamente condivisibili ed in linea con l'orientamento dianzi delineato.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto, infatti, che fosse necessaria altra e più pregnante documentazione per dimostrare lo stato di avanzamento dei lavori, poichè la presenza di utenze - che se effettivamente riferite agli immobili abusivi sarebbero state attivate in palese violazione del divieto di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 48 - e la presenza di persone all'interno del manufatto dimostrano, al più, che l'immobile era abitato o comunque utilizzato ma non che l'intervento edilizio potesse ritenersi ultimato nel senso in precedenza indicato.
Lo stesso Tribunale considera anche altri dati fattuali, quali l'iter di alcune pratiche edilizie, una delle quali riferita ad un immobile rurale non reperito all'atto del sopralluogo e le condizioni di un immobile (individuato con il numero 3) con il terzo piano ancora non completato.
A fronte di ciò i giudici del riesame non potevano ritenere determinato il momento consumativo del reato e, conseguentemente, maturata la prescrizione, poichè la materiale utilizzazione di un immobile e l'eventuale attivazione di utenze non sono elementi da soli sufficienti per dimostrare la sua concreta ed effettiva funzionalità e la presenza di tutti i requisiti di agibilità o abitabilità che consentano di ritenerlo ultimato.
Occorre inoltre rilevare che nella stessa direzione dei principi sopra ricordati si pone anche la pronuncia richiamata in ricorso (Sez. 3 n. 14436/2004), che si riferiva ad un deposito di attrezzature per il quale si era dimostrata la sussistenza di tali requisiti.
Va poi aggiunto che grava comunque sull'indagato che voglia giovarsi della causa estintiva della prescrizione, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso (Sez. 3 n. 19082, 7 maggio 2009; Sez. 3 n. 10585, 11 ottobre 2000) e, per le medesime ragioni in precedenza indicate, tale onere non poteva ritenersi adeguatamente assolto.
Il provvedimento impugnato risulta pertanto, sul punto, del tutto immune da censure.
A conclusioni analoghe può pervenirsi anche con riferimento al secondo motivo di ricorso.
Le contestazioni mosse dalla difesa si fondano, essenzialmente, nel richiamo alla giurisprudenza delle Sezioni Unite penali di questa Corte (SS. UU. n. 12878, 20 marzo 2003) e nella negazione della sussistenza dei presupposti di applicabilità della misura reale in considerazione dell'epoca di ultimazione dei lavori che, come già detto, si assume essere risalente nel tempo, con la conseguenza che difetterebbe qualsivoglia aggravio del carico urbanistico.
Il Tribunale, al contrario, riconosce la legittimità del sequestro e, dopo aver ricordato che il G.I.P. aveva ritenuto applicabile la cautela reale sul presupposto di un aggravio del carico urbanistico cagionato dalla realizzazione degli immobili in area agricola, soggetta anche a vincolo idrogeologico, richiama a sua volta la citata pronuncia delle Sezioni Unite e riconosce la attualità delle esigenze cautelari, che individua nell'incidenza sul carico urbanistico rappresentata dalla consistenza dell'insediamento edilizio ed il numero di nuclei familiari presenti, dall'incremento della domanda di strutture, opere collettive e dotazione minima di spazi pubblici per abitante, dalla necessità di salvaguardare l'ambiente e la staticità dei luoghi e, infine, dalla possibilità che le opere non ancora ultimate siano portate a compimento e le unità non ancora abitate siano occupate.
Ciò posto, occorre ricordare che la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite afferma come il giudice di merito debba valutare attentamente e, conseguentemente, motivare, la sussistenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del bene pertinente al reato, considerando, in particolare, "la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività". A titolo di esempio, con specifico riferimento all'incidenza sul carico urbanistico, si aggiunge che la delibazione in fatto sotto tale profilo deve essere effettuata considerando la consistenza reale e l'intensità del pregiudizio temuto, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione della misura.
Sulla nozione di "carico urbanistico", peraltro, vengono fornite puntuali indicazioni, osservando, testualmente, che "(...)questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento ed, primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (L. n. 47 del 1985, art. 26 e L. n. 493 del 1993, art. 4, comma 7) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell'immobile;
e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (L. n. 47 del 1985, art. 10 e L. n. 493 del 1993, art. 4)".
Sulla scia di tali condivisibili rilievi, altre decisioni successive hanno ulteriormente delineato i termini della questione, richiamando l'attenzione sulla circostanza che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione (Sez. 3 n. 4745, 30 gennaio 2008; conf. Sez. 6 n. 21734, 29 maggio 2008; Sez. 2 n. 17170, 5 maggio 2010) e chiarendo che, a tal fine, l'abuso va considerato unitariamente (Sez. 3 n. 28479, 10 luglio 2009; Sez. 3 n. 18899, 9 maggio 2008).
L'aggravamento del carico urbanistico è stato riconosciuto anche con riferimento alle ipotesi di realizzazione di opere interne comportanti il mutamento della originaria destinazione d'uso di un edificio (Sez. 3 n. 22866, 13 giugno 2007; conf. Sez. 4 n. 34976, 28 settembre 2010).
Nelle richiamate pronunce vengono, inoltre, indicate ipotesi specifiche di incidenza dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il contenuto della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies, come modificato dalla L. n. 122 del 1989 e L. n. 246 del 2005 il quale richiede, per le nuove costruzioni ed anche per le aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la esistenza di appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione (Sez. 3 n. 28479/09, cit.); la rilevanza di nuove costruzioni in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. (Sez. 3 n. 22866/07, cit.); l'ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica interessata (Sez. 3 n. 34142 23 settembre 2005).
Alla luce della menzionata giurisprudenza, che il Collegio condivide e dalla quale non intende discostarsi, deve ritenersi che i giudici del riesame abbiano operato una corretta valutazione dei presupposti per l'applicazione del sequestro preventivo con riferimento all'aggravio del carico urbanistico, considerando la destinazione agricola della zona, le dimensioni del complesso immobiliare ed il numero di abitanti, facendo quindi buon uso dei suddetti principi.
Non meno rilevante risulta la considerazione operata dai giudici del riesame circa la ulteriore esigenza di impedire che le opere non ancora ultimate siano portate a compimento e quelle non ancora abitate siano occupate.
Anche sul punto, dunque, l'ordinanza impugnata supera indenne il vaglio di legittimità.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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