Delfina Ruocco ha pubblicato una nota.
Il Rione San Marco è il quartiere dove sono nata e nel quale ho vissuto fino a una decina d'anni fa.
Negli anni '60 - quelli della mia infanzia, era già abbastanza popolato ma non era ancora stato oggetto dell'esplosione edilizia che ci sarebbe stata da lì a un decennio. Non tutte le strade erano asfaltate, i negozi erano pochissimi (per gli acquisti si ricorreva agli ambulanti che giravano con i carretti e "davano la voce"), le case erano per la maggior parte quelle costruite dall'IACP, la Chiesa Parrocchiale aveva visto la luce appena da qualche anno ed erano ancora in via di realizzazione i "padiglioni" delle Scuole Elementari del 3° Circolo.
Gli abitanti del rione erano persone modeste, famiglie di operai, gente per bene che mi ha visto crescere e che porto ancora nel cuore, molti erano gli illetterati e spesso qualcuno ricorreva ai miei genitori (che avevano fatto "le scuole alte") per leggere o scrivere lettere a parenti lontani.
Queste persone, che a stento sapevano scrivere il proprio nome e cognome, avevano grosse difficoltà nel seguire i loro figli negli studi. Fu così che la mia indimenticabile maestra Angela Barretta - quando eravamo in terza elementare - convocò i genitori delle sue alunne più capaci proponendo loro una collaborazione fattiva per favorire l'apprendimento delle bambine più in difficoltà. In pratica, accoppiò un'alunna brava con una meno brava ed entrambe, così appaiate, avrebbero svolto insieme i compiti a casa.
La compagna di scuola "affidata" a me si chiamava Angela, veniva a casa mia quasi tutti i giorni e quando non poteva, ero io ad andare da lei, accompagnata da mia madre.
Ricordo la prima volta che andai a casa sua, abitava in Via Cicerone, e ho ancora davanti agli occhi me bimbetta, tenuta per mano da mia madre che mi raccomandava di essere gentile, rispettosa ed educata perchè andavamo in casa d'altri. Giunte a destinazione cominciammo a salire le scale e cercammo il nome alla porta sulla targhetta finché, finalmente, leggemmo "F. Esposito" (cognome di fantasia). Bussammo... Angela ci aprì la porta sorridente e io osservai: "F. Esposito, anche il tuo papà si chiama Francesco come il mio?". Lei rispose: "No, si chiama Fonzo".
Negli anni '60 - quelli della mia infanzia, era già abbastanza popolato ma non era ancora stato oggetto dell'esplosione edilizia che ci sarebbe stata da lì a un decennio. Non tutte le strade erano asfaltate, i negozi erano pochissimi (per gli acquisti si ricorreva agli ambulanti che giravano con i carretti e "davano la voce"), le case erano per la maggior parte quelle costruite dall'IACP, la Chiesa Parrocchiale aveva visto la luce appena da qualche anno ed erano ancora in via di realizzazione i "padiglioni" delle Scuole Elementari del 3° Circolo.
Gli abitanti del rione erano persone modeste, famiglie di operai, gente per bene che mi ha visto crescere e che porto ancora nel cuore, molti erano gli illetterati e spesso qualcuno ricorreva ai miei genitori (che avevano fatto "le scuole alte") per leggere o scrivere lettere a parenti lontani.
Queste persone, che a stento sapevano scrivere il proprio nome e cognome, avevano grosse difficoltà nel seguire i loro figli negli studi. Fu così che la mia indimenticabile maestra Angela Barretta - quando eravamo in terza elementare - convocò i genitori delle sue alunne più capaci proponendo loro una collaborazione fattiva per favorire l'apprendimento delle bambine più in difficoltà. In pratica, accoppiò un'alunna brava con una meno brava ed entrambe, così appaiate, avrebbero svolto insieme i compiti a casa.
La compagna di scuola "affidata" a me si chiamava Angela, veniva a casa mia quasi tutti i giorni e quando non poteva, ero io ad andare da lei, accompagnata da mia madre.
Ricordo la prima volta che andai a casa sua, abitava in Via Cicerone, e ho ancora davanti agli occhi me bimbetta, tenuta per mano da mia madre che mi raccomandava di essere gentile, rispettosa ed educata perchè andavamo in casa d'altri. Giunte a destinazione cominciammo a salire le scale e cercammo il nome alla porta sulla targhetta finché, finalmente, leggemmo "F. Esposito" (cognome di fantasia). Bussammo... Angela ci aprì la porta sorridente e io osservai: "F. Esposito, anche il tuo papà si chiama Francesco come il mio?". Lei rispose: "No, si chiama Fonzo".
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