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lunedì 10 febbraio 2014

Delfina Ruocco:Il racconto di una storia familiare - della serie I Ruocco si raccontano. - cap. 2

Dei miei nonni paterni so molto meno, forse perché i racconti di mio padre era meno frequenti di quelli di mia madre. 

Abitavano nei pressi del Mercato Ortofrutticolo, in un fabbricato ancora oggi chiamato “la palazzina dei mutilati” perché mio nonno Carmine era invalido di guerra; suppongo che quelle abitazioni venissero assegnate a chi aveva riportato danni fisici durante la Prima Guerra Mondiale. 

Mia nonna si chiamava Regina Di Massa, aveva avuto due figli o, per meglio dire, aveva avuto diversi figli, ma dopo mio padre - il primogenito, classe 1922 - molti figli erano nati morti o erano morti neonati, come spesso accadeva in quell’epoca, tant’è vero che ci vollero ben sedici anni per avere il secondo figlio, mio zio Arnaldo Ruocco, classe 1938.

Ho un vago ricordo della casa dei miei nonni, che ho frequentato poco, da piccolissima, perché mio nonno morì nel 1967 quando io avevo appena 7 anni, e nonna Regina - rimasta sola - era quasi sempre a Pomigliano d’Arco, a casa di mio zio Arnaldo che ormai era sposato e si era trasferito lì per lavoro.

Il cortile con le aiuole dove ogni tanto ci era permesso giocare, le scale fino al terzo piano (mi pare), le stanze enormi, con le mura altissime, la cucina in muratura, le pentole di rame appese alle pareti, la bilancia a due piatti, con i pesi alloggiati in appositi fori cilindrici, la “moschiera” sul balcone - una specie di dispensa per riporre le provviste alimentari - riparata dalle visite degli insetti molesti con una tendina verde traforata, il letto matrimoniale sul quale facevo fatica ad arrampicarmi, il comodino di mio nonno con un cassetto stracolmo di medicine.




Ma torniamo al matrimonio dei miei genitori avvenuto il 26 luglio 1953 nella chiesa di San Francesco a Castellammare di Stabia.

Mia madre - impiegata a Napoli presso la Ditta “Camillo Quadrino” che si occupava di vendita all’ingrosso di articoli di merceria - aveva lasciato il suo lavoro per cederlo a mio padre che non aveva un’occupazione stabile, in modo da potersi dedicare alla famiglia che stava per formarsi (erano anni in cui un solo stipendio era sufficiente a sopravvivere).




La loro prima casa da giovani sposi si trovava a Via Napoli, ma ci rimasero poco più di un anno perché era molto umida (mamma mi raccontava che l’umidità gonfiava così tanto i cassetti da non riuscire più ad aprirli); non era idonea ad ospitare il bimbo che sarebbe arrivato di lì a poco.

Infatti, il 26 agosto 1954 nacque il loro primogenito, mio fratello Carmine - come il nonno paterno, naturalmente (!).

E qui c’è da raccontare che per mia madre - veneta - non c’era la tradizione di imporre ai figli il nome dei nonni e lei avrebbe desiderato chiamare il suo primogenito “Gianfranco” perché nato dall’unione di Gianna e Franco; rimase, appunto, un desiderio. A mio fratello fu imposto il nome Carmine - anche se per tutti noi è stato ed è sempre Nuccio.

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