Rodolfo Ruocco
Pacato, dialogante, pragmatico. Luigi Di Maio, 31
anni, vice presidente della Camera, accelera nel tessere la sua “tela
governativa”. Indica la strada del M5S “partito di governo” e non più di
“opposizione anti-sistema”.
Il candidato in pectore cinquestelle a presidente del
Consiglio capovolge la vecchia impostazione dei cinquestelle: “Non vogliamo
un’Italia populista, estremista o anti-europeista. Il nostro obiettivo è creare
e non distruggere”. Addirittura si ispira al premier conservatore della destra
europeista spagnola Mariano Rajoy: “Il mio modello è il governo Rajoy”. Questa
volta, per perseguire il suo progetto, è andato anche nella “tana del lupo” per
illustrare la svolta, domenica 3 settembre è intervenuto al Forum Ambrosetti di
Cernobbio sul lago di Como, il tradizionale appuntamento annuale delle classi
dirigenti italiane, europee ed americane. Ha corteggiato i ‘poteri forti’: “Noi
vogliamo una Italia smart nation, che investa nelle nuove tecnologie sia nel
pubblico sia nel privato e quindi che cominci a creare lavoro e valore in
questo settore”.
Addio agli attacchi agli oligopoli capitalisti,
all’Europa e alla moneta unica. Di Maio, anzi, si mette tra i sostenitori
dell’Unione europea e precisa: il referendum per abolire l’euro è solo una
“extrema ratio” perché “noi non vogliamo distruggere, ma cambiare” la valuta
unica europea.
E’ un preciso messaggio lanciato ai banchieri e ai
grandi imprenditori italiani ed esteri, di casa nei seminari tenuti a
Cernobbio, e visti dall’ala oltranzista del M5S come “i grandi nemici” del
popolo sfruttato e impoverito dalla Grande crisi economica internazionale del
2008.
Di Maio ha operato lo “strappo” nonostante le tante
critiche e i molteplici altolà dell’ala intransigente dei cinquestelle. Solo
pochi giorni fa Ferdinando Imposimato, ex magistrato, uno dei candidati dal M5S
a presidente della Repubblica, aveva condannato la scelta del vice presidente
della Camera: “Che tristezza che il candidato premier M5S Luigi Di Maio si
sieda a Cernobbio con un esponente della Trilatarale, che voleva la riforma
della Costituzione. Il dialogo con i nemici della democrazia non è tollerabile.
E’ la fine dell’alternanza”.
Di Maio, giacca, cravatta, cortese, niente insulti,
sta perseguendo con tenacia, tra non pochi attacchi dall’interno del movimento
pentastellato, il suo disegno di lasciare l’opposizione totale anti-sistema per
approdare al governo nazionale dopo aver conquistato i sindaci di tante e
importanti città italiane.
Negli ultimi due anni ha incontrato in Italia e nei
suoi viaggi negli Usa e nella capitali europee diplomatici, politici,
imprenditori, finanzieri di tutte le più importanti nazioni. La sua popolarità
sta aumentando sempre di più. Gli ultimi sondaggi lo danno testa a testa con
Matteo Renzi nelle preferenze degli italiani,per Palazzo Chigi. E precede Paolo
Gentiloni, Silvio Berlusconi ed Angelino Alfano.
Tuttavia da qui alle elezioni politiche all’inizio
dell’anno prossimo, la strada è ancora lunga. Può succedere di tutto. L’ala dei
cinquestelle dei “puri e duri”, fedele al partito anti-sistema e anti-casta
portato a uno strepitoso successo da Beppe Grillo, è mobilitata contro di Maio.
Le insidie, poi, potrebbero arrivare anche da più vicino. Alessandro Di
Battista non dà per scontata la candidatura di Di Maio alla presidenza del
Consiglio. Il giovane deputato cinquestelle ha avvertito alla Festa del Fatto
Quotidiano a Marina di Pietrasanta: “Io non credo che ci sarà un solo candidato”.
E non è escluso che un altro candidato possa essere proprio Di Battista.
Poi sono sempre in agguato possibili “scivoloni”, tipo
quello su Raffaele Marra nominato capo del personale del comune di Roma e poi
finito in manette per gravi reati. Oppure ci sono gaffe come quella nella quale
paragonò Matteo Renzi a “Pinochet in Venezuela”, mentre il generale golpista
realizzò una sanguinosa dittatura nel Cile, un altro paese del Sud America. Di
Maio fece immediatamente una rettifica per correggere l’errore, ma la caduta
fece epoca.
Grillo finora l’ha sostenuto, anche se si infuriò per
i suoi errori. Il garante del M5S per un periodo mise da parte Di Maio, poi gli
confermò la sua fiducia. Ora il capo carismatico dei cinquestelle si dovrà
pronunciare sulla svolta che capovolge la sua classica linea politica:
l’attacco ai partiti tradizionali tradizionali, alla classe dirigente e ai
grandi imprenditori italiani colpevoli del “fallimento” dell’Italia. Le accuse
di “colpo di Stato”, di “golpettino furbo” e la rivendicazione del populismo
(“Sono fiero di essere populista”) si sono sprecate per anni.
Si sono sprecate, ma da un po’ di tempo le urla
anti-casta e anti-sistema non si sentono più. Né si sentono più gli insulti, le
roboanti manifestazioni di piazza a colpi di “vaffa…”. Né, tantomeno, si ode
più la minaccia di promuovere un referendum per far uscire l’Italia dall’euro.
Forse in Grillo sta prevalendo la linea meno dura, quella di vincere “senza
mettere paura” all’elettorato moderato. Comunque, adesso il vice presidente
della Camera sta navigando con il vento a poppa.
Rodolfo
Ruocco
(Sfogliaroma)
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