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Avverbi, Diverbi e sentimenti...

lunedì 28 marzo 2011

Perchè...

Nella prima pagina mi sono presentato come si fa quando si va in cerca di un lavoro, ma non ho scritto le vere ragioni che mi hanno indotto a farlo.

Nei miei primi anni di vita non dovevo spiegare niente a nessuno perchè  tutti sapevano  chi ero, a chi appartenevo, il mio carattere, i miei gusti e mi accompagnavano nella crescita con le loro attenzioni, con la loro stima, con la loro compiacenza e mi prendevano per mano ogni volta che mi trovavo in difficoltà.

La prima volta che ho avuto paura è stato durante la guerra quando un soldato della liberazione mi tenne sotto la minaccia del suo fucile, assieme a mia madre, per qualche ora perchè eravamo stati sorpresi nel territorio di sua competenza a recuperare il carbone che loro sprecavano e a noi era utile, al posto delle stoppie, per far bollire l'acqua, per cucinare in minor tempo, per cuocere le patate da dare ai maiali.

La seconda volta quando a Castellammare di Stabia si sparse la voce che c'era la mano nera che compiva gesti insani contro le donne, i bambini e la proprietà sottraendo a quelli che si attardavano per strada o la borsa o la vita, anche se non ricordo di omicidi.La cosa finì così com'era cominciata, ma la sera nel vicolo le ombre diventavano sinistre portatrici di paure.

Un passo un pò più frettoloso del tuo ti metteva addosso brividi che poi si risolvevano in scaramucce con quelli che avevano organizzato lo scherzo. I buontemponi non mancano mai neppure nelle avversità.

Quando lasciai il mio vicolo per la nuova casa ero già grandicello e la strada solitaria non mi dava più le stesse ansie.

Ho cercato in tutto il tempo che ho vissuto di capire chi ero e ancora chi sono. Se avevo altri legami di sangue o soltanto di appartenenza nominativa.

Incominciò il mio professore di francese al nautico minacciando di raccontare a mio zio gli scherzi che mi attribuiva o il poco impegno che mettevo nello studiare la sua materia.

In quegli anni avevo incominciato a scrivere le mie prime poesie in napoletano che riscuotevano il piacere della professoressa Ricci che insegnava storia, del professore Iorio, sollecitato da un compagno di scuola a prendere atto di quello che scrivevo, dal professore Genovese docente appunto di francese e di altri.

Il professore per il fatto che scrivevo dei versi in napoletano  riteneva a suo dire che ero il nipote di Pasquale Ruocco, eccellente poeta napoletano di cui conoscevo l'esistenza, ma al quale non avevo mai pensato di appartenere.

Il poeta, per il suo carattere, aveva accettato di stare al gioco e mi mandava a dire, così mi riferiva il professore, di studiare e di non perdere tempo, di comportarmi da bravo figliolo ed era d'accordo col professore ,se fosse stato necessario, di rimandarmi a settembre senza ripensamenti.

A distanza di anni, rileggendone le poesie che tengo a portata di mano nel mio scaffale, ho rivisto la faccia del mio omonimo e mi son messo a ridere. Allo scherzo ci sapeva stare ed era anche un gran poeta: ve lo proporrò più avanti.

Ma che carattere hanno questi Ruocco ?

Quelli che conosco sono distanti da me mille miglia, ma ho visto che si distinguono in tutti i campi.

Vorrei conoscerne qualcuno in più e sentirne la vicinanza o la fratellanza o addirittura la consanguineità. Non per una riedizione di RADICI, ma soltanto per ritrovare quelli che ho perso avendo l'albero messo su tanti rami, tante foglie, tanti fiori e tanti ramoscelli che sono stati portati via per alimentare altri focolai.

Da quando sono qui a Roma quante volte mi è stato chiesto se ero parente di questo o di quel Ruocco e sentirli estranei mi dava fastidio, noia, dispiacere per non potergli stringere nemmeno una mano, accostarmi a tutti quelli che sicuramente sono miei consanguinei come di solito faccio con gli amici.

Vorrei ricostruire i legami persi, ritrovare quelli che sono andati altrove, almeno attraverso questo blog.

Cerco altri poeti come me, come quello zio che mi era stato attribuito, come i fratelli che incontro sempre meno per la lontananza ma che non dimentico mai di chiamare, di cercare, di considerare.

La sera non chiudo gli occhi se non sento la voce di mia figlia che già da cinque anni vive a Zurigo insegnan-do l'italiano ai figli degli italiani ormai fuori dall'Italia da tanti anni.

Vorrei fare così con tutti quelli che se che se la sentono di raccontare non solo la loro storia, ma anche la loro appartenenza.

Un saluto fraterno a tutti ed in particolar modo a quelli che hanno il mio stesso patronimico.

Gioacchino Ruocco

email: gioacchinoruocco@libero.it

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