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giovedì 31 marzo 2011

Origine del male e senso del dolore: Raffaele Ruocco

Raffaele Ruocco. Origine del male e senso del dolore nella riflessione nietzschiana.
1.IL PROBLEMA DELL'ORIGINE DELLE VALUTAZIONI MORALI NELLA GENEALOGIA ... utenti.multimania.it/tommy_80/ruocco.htm - Copia cache


Raffaele Ruocco

Origine del male e senso del dolore nella riflessione nietzschiana


     L'importanza fondamentale che la riflessione sul senso e sull'origine del male riveste nell'itinerario intellettuale nietzschiano, è testimoniata chiaramente dalla "Prefazione" alla "Genealogia della morale". Qui, oltre a dichiarare di aver dedicato al problema dell'origine del male il suo "primo esercizio calligrafico di filosofia"(1) (problema che agli occhi del filosofo, allora tredicenne, dovette immediatamente identificarsi con quello classico della teodicea), Nietzsche ci presenta sinteticamente la strategia di pensiero mediante la quale, durante gli anni della maturità, riuscì a dissolverlo. Tale strategia consiste sostanzialmente: nella dislocazione della domanda sul male dal piano metafisico, che implica, generalmente, una prospettiva cosmo-teologica, (l'origine del male cercata "dietro il mondo(2)") a quello antropologico-morale (e a questo livello la strategia nietzschiana può dirsi ancora, sostanzialmente, simile per es. a quella kantiana, che declina il concetto biblico di "peccato originale" nel senso di "male radicale" inteso come disposizione originariamente e inspiegabilmente malvagia della volontà umana), nella sua ulteriore specificazione, come  problema eminentemente assiologico, (il problema dell'origine del male si trasforma in quello dell'origine dei "giudizi di valore buono e malvagio"(3)) e simultaneamente nella radicale messa in discussione genealogica del "valore"dei giudizi di valore umani e, quindi, della morale stessa.

     Riguardo tale complessa e originale riduzione-dissoluzione di uno dei problemi pi angoscianti del pensiero occidentale, è da notare 1) che la dislocazione della prospettiva d'indagine al  piano strettamente morale implica immediatamente uno scarto radicale tra la domanda sull'origine del male e quella sul senso della sofferenza e del dolore (ed è proprio a questo punto che è possibile individuare la divaricazione essenziale fra l'itinerario speculativo nietzschiano e quello di Leopardi il quale, proprio mediante la determinazione assiologica radicalmente negativa d'ogni forma di "patire" non solo a livello antropologico può arrivare a definire come "male" e l'esistenza umana e la stessa totalità del cosmo); 2) che la riduzione del male, a giudizio di valore umano, è strettamente connessa alla concezione prospettivistica nietzschiana del valore, visto non già come assoluto e universalmente valido, ma come relativo e funzionale al rapporto di un "quantum" di volontà con ciò che gli è esterno; e, nel suo vedere l'intrinseca relatività dei valori umani stagliantesi sullo sfondo di una totalità cosmologica concepita come assoluta necessità(4) può richiamare echi spinoziani.

     Il problema dell'origine dei valori morali è affrontato da Nietzsche ampiamente ma con profonde ambiguità implicite nella prima "Dissertazione" della Genealogia della morale. Lo scritto comincia con una dura polemica contro l'utilitarismo inglese e la sua teoria dell'equivalenza tra "buono" e "utile".. Al di là della lettera esplicita sembra che il senso profondo di questa polemica, sostanzialmente affine a quella condotta contro la mentalità darwiniana (per la quale è "buono" ciò che è adeguato al fine dell'evoluzione umana,) che peraltro è presente oltre che nella "Genealogia" in molti altri scritti nietzschiani, si debba rintracciare a livello di filosofia della storia. L'equiparazione del buono e dell'utile postula, infatti, che l'origine della morale (che può essere vista come equivalente all'origine della civiltà) sia il frutto di un "calcolo" razionale e sia, quindi, sostanzialmente deducibile all'interno di una concezione del tempo umano visto come essenzialmente continuo.Nietzsche, invece, soprattutto nella "Genealogia" sembra propendere per una radicale discontinuità della storia della civiltà umana, vista come caratterizzata da una serie di fratture dolorose assolutamente inspiegabili e indeducibili, veri e propri "eventi " sciolti da qualsiasi rete di connessioni con ciò che li precede. All'interno di questa concezione, l'atto della posizione dei valori verrebbe visto come un'imposizione di giudizi radicalmente arbitraria, pura e semplice estrinsecazione di potenza, determinata non da un calcolo razionale, ma da un impellente "pathos della distanza"(5). Questa tendenza implicita a concepire l'atto di posizione dei valori che determina l'origine della morale come puro e semplice accadimento (tendenza in certo modo contrastante con la visione prospettivistica che implica sempre una "mediazione" almeno intenzionale fra una puntuazione di volontà e il suo esterno) viene, tuttavia, in un certo senso, smentita nella stessa dissertazione mediante la determinazione di una serie di molteplici e, a volte, contrastanti criteri distintivi fra il valore positivo "il buono" e il suo opposto negativo, e la stessa celebre distinzione fra "morale dei signori" e "morale degli schiavi" che, proprio su questa pluralità di criteri si basa e, che non a caso, Nietzsche cerca di spiegare e dedurre storicamente ( vedendola come causata dal sorgere, accanto ad una casta aristocratica di guerrieri, di una casta di sacerdoti" i cui criteri assiologici non sono costituiti dalla nobiltà o dalla ricchezza ma dalla purezza e dalla santità e che trasforma l'originaria opposizione fra "buono" e "cattivo" in quella fra "buono" e "malvagio"(6)) sembra in parte contraddire una prospettiva di questo genere.

     La caratterizzazione che Nietzsche fa della morale dei signori risulta altresì ambigua sotto un altro aspetto. Se da una parte, infatti, essa viene vista come immediatamente scaturente da un originario e irriducibile "pathos della distanza" da un urto cioè e da una frattura fra colui che pone i valori e ciò che gli è altro, dall'altra essa è concepita come sostanzialmente affermativa come l'originaria posizione dell'identità di un Io che non ha al di fuori di sé, nulla che la possa seriamente mettere in questione come "un trionfante si pronunciato a se stessi"(7): la posizione del valore positivo precede qui, logicamente, quella del valore negativo il quale viene. poi, visto come semplice privazione e negazione del primo cui guardare con sprezzante superiorità o con indulgente benevolenza, come puro non Io. Un autentico "pathos della distanza"sembrerebbe, così, competere alla seconda forma di morale, a quella degli schiavi, che ha la sua origine proprio nell'urto e nel rigetto assiologico con un esterno radicalmente altro da colui che pone i valori (il valore negativo qui precede, logicamente, quello positivo) cui segue un ripiegamento morboso nell'interiorità dell'Io: una morale che per agire ha bisogno di un "mondo opposto ed esteriore" e la cui "azione è fondamentalmente una reazione"(8). E' da notare, infine, che tanto il radicale misconoscimento dell'altro proprio della morale dei signori tanto il suo rifiuto assiologico caratteristico di quella degli schiavi sono in contrasto con l'interazione fra interno ed esterno che la concezione prospettivistica   sembra postulare.



     La divaricazione tra problema del male e problema della sofferenza e il rifiuto di attribuire al dolore una connotazione assiologica negativa, sono chiaramente evidenti nel "Tentativo di autocritica"che nel 1886, Nietzsche antepose alla "Nascita della tragedia". Esponendo, retrospettivamente il senso della sua opera giovanile, egli considera ,tra le prospettive da ritenere ancora valide, il rapporto tra disposizione tragica dello spirito greco (la "buona e dura volontà del pessimismo nel greco antico(9)") con la fase più rigogliosa e più fiorente della sua storia, di contro alla successiva mentalità ottimistica caratteristica invece di una fase declinante determinando, così, come segno di decadenza, non già la pura e semplice  capacità di soffrire o di intuire e rappresentare il dolore (che, anzi, può essere vista come sintomo di salute) ma una serie di modi di rapportarsi ad esso (le modalità che nella terza dissertazione della Gealogia della morale saranno designate unitariamente come "volontà ascetica").

     Sebbene questo nesso tra "tragedia" e "salute" implichi un armamentario concettuale proprio del Nietzsche maturo, è innegabile che la maggiore originalità della concezione del tragico così come è svolta nella "Nascita della tragedia" consista, proprio, nel rifiuto di collegarlo solo e semplicemente all'espressione e alla manifestazione di un dolore assoluto e irredimibile e nell'apertura della possibilità di vedere proprio nell'esperienza della tragedia un possibile luogo di giustificazione della sofferenza ,diversa, naturalmente, da quella tentata dalla mentalità razionaliistico-socratica, arrivando al limite a vedere proprio nella possibilità di esprimerlo e di rappresentarlo l'unico modo in cui l'uomo possa redimere il suo dolore. E' per questo che nell'architettura concettuale della "Nascita" il concetto di consolazione tragica" risulta avere un posto fondamentale: consolazione che più che come "metafisica" intuizione mistico-misterica che giustifica la terribilità e la insostenibilità del dolore inserendolo nell'ottica della totalità cosmica vista come eterno gioco di creazione e di distruzione(10), si dovrebbe intendere come pure e semplice capacità trasfigurativa, come possibilità di giustificare "esteticamente" il dolore, mediante la sua "definizione" in una forma compiuta e individuata mediante la sua"rappresentazione".
   
     La stessa ardita concezione metafisica delineata nella "Nascita" secondo la quale il mondo sarebbe né più né meno che "la raggiunta liberazione di Dio, la visione eternamente cangiante, eternamente nuova dell'essere più sofferente, più contrastato (11)" su questo concetto di trasfigurazione è interamente imperniata: la liberazione dal suo dolore che l'Uno originario raggiunge nel e per mezzo del mondo delle apparenze, consisterebbe, sostanzialmente, nel potere trasfigurante che l'apparenza in quanto forma individuata e compiuta esercita sull'universalità della sofferenza originaria. Tale potenza trasfigurativa è esercitata da tutti e due gli impulsi artistici che Nietzsche vede operanti nella natura: quello dionisiaco e quello apollineo il cui rapporto, quindi, non dovrebbe essere concepito in termini di "opposizione" o di "contrarietà" ma come "continuità" basata su una sostanziale affinità strutturale, l'apollineo, essendo né pi né meno che lo sviluppo ulteriore e il progressivo grado di affinamento di quella medesima istanza trasfigurativa già pienamente operante nell'impulso dianisiaco.

     E' da rilevare, a questo punto, che il concetto di "dionisiaco"risulta oltremodo ambiguo: se da una parte esso è visto ,in quanto istinto dell'ebbrezza, come comportante la rottura e l'infrangimento del "Principium individuationis" e l'immersione mistico estatica nell'Uno originario, dall'altra la fenomenologia che Nietzsche ne imposta fin dal primo capitolo dell'opera (anteriormente, quindi, alla distinzione fra "dionisiaco barbarico" e "dionisiaco ellenico", e alla determinazione dell'arte dionisiaca come stato in cui l'immersione estatica nell'Uno si scarica in una immagine simbolica) implica non già un dissolvimento ma un vero e proprio potenziamento dell'individualità e della forma ("l'uomo non più artista è diventato opera d'arte") è un rapporto di strutturale continuità con l'apollineo ("egli sente se stesso come dio, egli si aggira ora in estasi e in alto così come in sogno vide aggirarsi gli dei"(12)),

     Ed è sempre questa istanza trasfigurativa che per Nietzsche sta alla base sia dell'esperienza culturale della lirica greca arcaica sia di quella della tragedia attica la vicenda della cui nascita (determinata dalla visione dionisiaca di una schiera di invasati che vedono se stessi come Satiri, visione che si concretizza nel coro tragico disposto sull'orchestra; e, successivamente, dalla visione dello stesso Dioniso da parte del coro e dalla sua concretizzazione nel racconto mitico rappresentato sulla scena) e la cui stessa struttura rappresentata quasi plasticamente dall'architettura del teatro greco, riflettono il processo graduale e continuo di trasfigurazione che al livello cosmologico-metefisico conduce l'uno originario a liberarsi nel mondo delle apparenze prima dionisiache e poi apollinee.



1) F.NIETZSCHE, "Genealogia della morale" trad. it. F. MASINI, "Prefazione" pag. VIII
2) Ibid.
3) Ibid.
4) Cfr. per es. F.NIETZSCHE, "La gaia scienza" trad. it. F. MASINI af. 109
5) F.NIETZSCHE, "Genealogia della morale" "Prima dissertazione" par.2 pag. 15
6) Cfr. Ibid Par. 6
7) Ibid. Par. 10 pag. 26
8) Ibid
9) F.NIETZSCHE, "La nascita della tragedia" trad.it. S. GIAMETTA "Tentavo di autocritica" pag. 8
10) Cfr. Ibid. Cap. 17 pag. 111
11) Ibid "Tentavo di autocritica"pag. 9
12) Ibid. Cap. 1 Pag. 26 Cfr. inoltre Cap.25 pag. 161




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