Da Enna a Parigi, da Parigi a Roma….
FILIPPO GERVASI: LA RICERCA ARTISTICA COME METAFORA DI UN CAMMINO DI CONOSCENZA.
Filippo Gervasi ha con l’arte un contatto dinamico e vitale, in un percorso che varia dal figurativo nel quale ha perseguito un’idea di verità a forme simbolico-immaginative con opere legate ai temi della religione, della mitologia e delle problematiche esistenziali, fino ad approdare all’astrazione, dove la sua istintiva forza creativa lo ha portato a comporre una serie di opere nelle quali i colori non hanno nessuna corrispondenza naturalistica, ma sono riflessi dell’anima, preziose cromie che lasciano intuire segni di impronte ancestrali, accumulazioni e sovrapposizioni con bagliori di conoscenza in bilico tra passato e presente, tra istinto e razionalità. Filippo Gervasi nasce ad Enna nel 1953, giovanissimo si trasferisce a Parigi dove termina i suoi studi in architettura, in disegno ed inizia la sua vicenda artistica assorbendo echi culturali di una ricerca di livello internazionale. L’intero corpus delle opere grafiche, incisorie e pittoriche dell’artista ci giunge come il tentativo ben riuscito di comunicare le tematiche a lui care attraverso varie tecniche, supporti e materiali, ma sempre con una grande coerenza di stile e con un’idea centrale che ne vivifica i caratteri. Nel periodo figurativo che va dalla metà degli anni Settanta alla metà degli anni Ottanta predilige dipingere nature morte, tutte eseguite ad olio o a tecnica mista su tela, con semplici oggetti di uso quotidiano come bottiglie, tazze, vasi ed elementi ornamentali, fiori recisi dalle loro piante, frutta colta dagli alberi ed elementi vegetali comunque sradicati. I vari elementi sono assemblati con equilibrio ed armonia, coerenti con il suo stile e pervasi quasi da un sentimento animistico delle cose. Dalla metà degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta quest’artista acquisisce sempre nuovi consensi critici per le sue opere a carattere religioso, mitologico ed esistenziale a testimonianza dell’inesauribile ricchezza delle sue rappresentazioni e della vastità dei suoi interessi volti alla realizzazione di un’espressione d’immediata comunicazione. Ed è così che nascono opere come “L’ultima cena”, cm 100x120, incisa a mano su noce tanganica in omaggio a Leonardo da Vinci, uno dei più grandi geni dell’umanità, per il quale quest’anno si celebra il quinto centenario della morte avvenuta nel 1519 in Francia; “La sfida”, cm 50x70 dove quattro uomini seduti ad un tavolo si contendono la vittoria in un gioco di carte. I volti sono tesi nella gara ed esprimono stimoli, emozioni e una loro profonda introspezione, ma gli atteggiamenti dei corpi sono rilassati come in una pausa dopo il lavoro. Quest’opera è eseguita con la tecnica particolare della pirografia attraverso un’incisione su una tavola di noce, un legno particolarmente apprezzato per la sua resistenza e durezza. Con mano agile e sicura, usando una piromatita elettrica l’artista incide a fuoco il tracciato precedentemente segnato e con speciali accorgimenti e con lievi pressioni della punta metallica incandescente riesce ad ottenere linee lievi o profonde, luci ed ombre e particolari effetti di chiaroscuro. Sempre con questa tecnica, ma con un maggiore impegno ideativo, sono le opere “Diluvio universale”, cm 120x 150 del 1988, interamente incisa col pirografo per raccontare un tema ricorrente in molte culture: rappresenta la storia mitologica di una grande inondazione mandata da una divinità per distruggere la civiltà come atto di punizione divina e si ricollega al racconto biblico dell'Arca di Noè; “Venere”, cm 65x 100 del 1990, incisa su noce tanganica, dove Gervasi indirizza la sua esperienza artistica verso forme di stilizzazione della figura femminile con tutto il suo fascino, per coglierne e interpretarne la valenza dinamica e simbolica, ritmica e totemica. Venere, lontana da ogni reminiscenza classica, è rappresenta da una figura di donna che danza nuda e leggera in una natura ricca di fiori e di piante e sembra quasi che con la sua carica emozionale e poetica stimoli l’olfatto a godere di tutte le fragranze della primavera, il tatto e la vista a captare il velluto e i colori dei fiori, il cuore a percepire il vero senso della vita che non è solo natura e realtà, ma anche impenetrabile mistero. Nel Terzo Millennio quest’artista man mano comincia a creare composizioni astratte che non hanno più nessun riferimento con la realtà nel tentativo di liberarsi dai suoi colori, dai suoi modelli e dalle sue forme per ubbidire unicamente a sensazioni profonde e a pulsioni inconsce, capaci di esprimere la vitalità autonoma ed il ritmo dinamico del rapporto segno-movimento colore. L’opera che segna questo passaggio è “Natura morta con utensli e frutta” , spogliata di ogni particolare e che reca in sé i segni che la incidono come impronte ancestrali, accumulazioni dense di simboli con bagliori di conoscenza in bilico tra passato e presente, tra istinto e razionalità. Ed è così che sul filo dell’astrazione nasce una serie di quadri, senza titolo, ma dove le linee, le superfici, le forme e i colori, indipendenti da ogni referenza reale, sono accostati in modo da suggerire ritmi, spazi, emozioni e sentimenti. Sono immagini come icone cosmiche con lampi improvvisi di inedite rivelazioni che stimolano ed accrescono le potenzialità delle opere in cui la forma si fa indefinita ed il messaggio rimane vincolato a se stesso.
Storica e critica d'arte dr.sa Anna Iozzino