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venerdì 20 dicembre 2013

non investire in ricerca significa non far ripartire il Paese intervista a Francesca Ruocco

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"Serve un cambio di rotta: non investire in ricerca significa non far ripartire il Paese"

Francesca Ruocco, segretario generale della Flc-Cgil di Bologna, categoria della scuola, università e ricerca. Cos'ha significato la crisi per il suo comparto, la cui situazione si intreccia con quella del pubblico?
“Nel mio settore c'è anche una parte di privato, che riguarda la formazione professionale e le scuole private. Se sul primo versante, fino ad ora, siamo riusciti a non avere alcun licenziamento ma a far fronte alla crisi con mobilità interne, sul fronte delle scuole private come ad esempio quelle di lingue molte sono state le casse integrazioni. E poi c'è il problema degli investimenti nel pubblico, nell'università come nella scuola dove, a livello nazionale, dal 2008 ad oggi si sono persi 9.4 miliardi di euro e ben 150mila posti di lavoro. Oltre ai fondi per gli enti di ricerca e per l'università che sono dimezzati. Tutto questo rappresenta un problema per l'intero Paese, perché se non si fa che ripetere che occorre puntare sulla ricerca per cambiare la rotta e far ripartire l'economia è evidente che non investire proprio sulla ricerca e, in generale, sui settori della conoscenza da parte dello Stato significa non investire sulla ripartenza e sul futuro del Paese. E così restiamo fra i principali esportatori all'estero di cervelli, formati in Italia con soldi pubblici e che se non vanno a lavorare in altri Paesi restano da noi sottoccupati o disoccupati”.

Sabato i sindacati unitari torneranno in piazza per chiedere al governo un cambiamento di rotta. Questo vale anche, dunque, per le politiche su scuola ed università?
“Il governo, a parole, ha detto che avrebbe cambiato, ma per ora gli interventi consistono nei timidi interventi contenuti nel decreto legge sull'istruzione, che porterà in tre anni ad oltre 26mila integrazioni di insegnanti di sostegno, a livello nazionale, e a 60mila fra docenti e personale ATA. A fronte di questo, però, il blocco dei contratti della pubblica istruzione è stato prorogato per un altro anno già l'8 agosto e nella proposta di legge di stabilità (contro la quale anche sabato 14 manifesteremo) si prevede la proroga del blocco fino al 2017 , e non c'è alcuna visione per il futuro dei settore della conoscenza. Siamo ancora davanti, insomma, a piccole toppe a fronte di un blocco dei contratti che significherà ulteriore perdita di salario diretto ed indiretto, per gli assunti a tempo indeterminato così come per i precari”.

Qual è la situazione dei precari nella scuola bolognese?
“Stiamo aspettando, anche a Bologna, la sentenza UE sulla regolarizzazione degli insegnanti che lavorano da più di 36 mesi con contratti
precari. Vogliamo sapere se la legge italiana che ha recepito la norma europea, la 368 del 2001, debba essere applicata anche nel
nostro comparto, e si tratta del destino di diverse centinaia di persone sotto le due Torri che lavorano in una condizione che, oltre ad essere logorante per loro, talvolta incide anche sulla qualità dell'insegnamento (per es sulla continuità). All'università, poi, la situazione è ancora più grave: a livello nazionale i precari nella ricerca e nell'insegnamento lasciati a casa dal 2008 al 2012 sono circa 60mila e mentre, a Bologna, sul versante tecnico-amministrativo siamo arrivati a meno del 6% di contratti precari, per le docenze siamo a quasi il 50%, con i contratti più vari, da quelli di collaborazione per la docenza agli assegni di ricerca. Intanto, la scuola, l'università e la ricerca, anche causa blocco del turnover, restano fortemente sotto organico”.

A livello locale cosa si può fare?
“Tutto si gioca sugli organici, stabiliti a livello nazionale. Quello che si può fare, dunque, è vigilare a livello regionale perché venga ampliato l'organico, a fronte di una crescita media degli alunni che, ogni anno, in Emilia-Romagna è più alta che altrove. Sul fronte dell'infanzia comunale, invece, dove i precari sono 141, chiediamo che su diritti infungibili come l'istruzione si possa derogare al patto di stabilità. Se questo come sembra non sarà possibile, la soluzione migliore sarà quella della creazione di un'istituzione pubblica che mantenga le lavoratrici dipendenti del Comune con gli attuali contratti e stabilizzi i precari”.

Parliamo del referendum sui fondi pubblici alle paritarie per l'infanzia. Allora la Flc si schierò al fianco dei referendari, ma la situazione è rimasta pressoché invariata.
“Non dare seguito alla vittoria di chi chiedeva che nessuna famiglia che voleva un posto nelle scuole pubbliche restasse esclusa è stato un brutto segnale. Occorreva, invece, non azzerare i fondi alle private ma almeno dare un segno d'ascolto a tutti quei cittadini che sono andati a votare, in un momento di così forte crisi della politica e della rappresentanza. A questo punto, spero che la regolarizzazione
degli insegnanti precari, e maggiori margini assunzionali, risolvano l'esigenza di una maggiore offerta educativa da parte del pubblico,
evitando così anche di ridare 8 sezioni comunali in gestione indiretta alle cooperative, come hanno fatto quest'anno”.

Nelle scorse settimane ha suscitato forti polemiche la scelta delle scuole Besta di creare un percorso  formativo ad hoc per i bimbi stranieri. Cosa ne pensa?
“Innanzitutto quella creata alle Besta non è una classe dove sono stati confinati bimbi stranieri, ma un progetto di alfabetizzazione indirizzato a scolari di diverse classi che continuano a fare alcune materie con le proprie sezioni di appartenenza e che partecipano al progetto solo per periodi ridotti. I risultati di una sperimentazione come questa sono ancora da approfondire, ma in ogni caso occorre intervenire per dare risposte a monte sulla questione, e in particolare sui ricongiungimenti familiari attraverso i quali arrivano nelle scuole i bambini di altre nazionalità in diversi periodi dell'anno. Ci sono le domande di ricongiungimento a dirci quanti bambini arriveranno,
quando ed in che zona della città: basterebbe che a settembre si lasciasse un contingente di posti vuoti nelle classi delle scuole più gravate dal problema. Poi c'è il tema del rifinanziamento del fondo per l'alfabetizzazione. Su tutte queste questioni noi risolleciteremo la creazione di un tavolo interistituzionale con le parti sociali che chieda con forza il rifinanziamento del fondo e prenda le iniziative necessarie a livello locale per far fronte a tale situazione”.

Dall'inizio dell'anno partirà l'iter che condurrà, in primavera, al congresso della Camera del lavoro bolognese. Che congresso si aspetta?
“Mi aspetto, innanzitutto, che sia l'occasione per fare una discussione vera all'interno della Cgil, sulla necessità innanzi tutto di ripensare alle nostre iniziative per riuscire a rappresentare una fetta grossa del mondo del lavoro, che è quello precario o, ormai, in cerca di occupazione, che rappresentiamo ancora troppo poco. Secondo poi, occorre recuperare efficacia nelle vertenze che portiamo avanti, a livello nazionale come locale. Infine, anche al nostro interno bisogna iniziare a parlare di rinnovamento delle pratiche e delle persone, perché anche il sindacato ha bisogno di far avanzare quella generazione che nelle nuove condizioni sociali e di lavoro è cresciuta”. 

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