Dei miei nonni paterni so molto
meno, forse perché i racconti di mio padre era meno frequenti di quelli di mia
madre.
Abitavano nei pressi del Mercato Ortofrutticolo, in un fabbricato ancora
oggi chiamato “la palazzina dei mutilati” perché mio nonno Carmine era invalido
di guerra; suppongo che quelle abitazioni venissero assegnate a chi aveva
riportato danni fisici durante la Prima Guerra Mondiale.
Mia nonna si chiamava
Regina Di Massa, aveva avuto due figli o, per meglio dire, aveva avuto diversi
figli, ma dopo mio padre - il primogenito, classe 1922 - molti figli erano nati
morti o erano morti neonati, come spesso accadeva in quell’epoca, tant’è vero
che ci vollero ben sedici anni per avere il secondo figlio, mio zio Arnaldo
Ruocco, classe 1938.
Ho un vago ricordo della casa dei
miei nonni, che ho frequentato poco, da piccolissima, perché mio nonno morì nel
1967 quando io avevo appena 7 anni, e nonna Regina - rimasta sola - era quasi
sempre a Pomigliano d’Arco, a casa di mio zio Arnaldo che ormai era sposato e
si era trasferito lì per lavoro.
Il cortile con le aiuole dove
ogni tanto ci era permesso giocare, le scale fino al terzo piano (mi pare), le
stanze enormi, con le mura altissime, la cucina in muratura, le pentole di rame
appese alle pareti, la bilancia a due piatti, con i pesi alloggiati in appositi
fori cilindrici, la “moschiera” sul balcone - una specie di dispensa per
riporre le provviste alimentari - riparata dalle visite degli insetti molesti
con una tendina verde traforata, il letto matrimoniale sul quale facevo fatica
ad arrampicarmi, il comodino di mio nonno con un cassetto stracolmo di
medicine.
Ma torniamo al matrimonio dei
miei genitori avvenuto il 26 luglio 1953 nella chiesa di San Francesco a
Castellammare di Stabia.
Mia madre - impiegata a Napoli
presso la Ditta “Camillo Quadrino” che si occupava di vendita all’ingrosso di
articoli di merceria - aveva lasciato il suo lavoro per cederlo a mio padre che
non aveva un’occupazione stabile, in modo da potersi dedicare alla famiglia che
stava per formarsi (erano anni in cui un solo stipendio era sufficiente a sopravvivere).
La loro prima casa da giovani
sposi si trovava a Via Napoli, ma ci rimasero poco più di un anno perché era
molto umida (mamma mi raccontava che l’umidità gonfiava così tanto i cassetti
da non riuscire più ad aprirli); non era idonea ad ospitare il bimbo che
sarebbe arrivato di lì a poco.
Infatti, il 26 agosto 1954 nacque
il loro primogenito, mio fratello Carmine - come il nonno paterno, naturalmente
(!).
E qui c’è da raccontare che per
mia madre - veneta - non c’era la tradizione di imporre ai figli il nome dei
nonni e lei avrebbe desiderato chiamare il suo primogenito “Gianfranco” perché
nato dall’unione di Gianna e Franco; rimase, appunto, un desiderio. A mio
fratello fu imposto il nome Carmine - anche se per tutti noi è stato ed è
sempre Nuccio.
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