Nella galleria “La Modigliani” di Castellammare di Stabia brindiamo con bicchieri colmi d’acqua acetosella alla riacquistata salute del maestro Vincenzo D’Angelo, che sorride spaesato con quella sua aria un po bonaria e un po diffidente.
Alle pareti della galleria sono esposte le ultime sue opere, tutte sul tema dell’attesa: pescatori che giocano a carte all’osteria mentre aspettano che il mare in tempesta si calmi e ritorni la bonaccia, emigranti che siedono sulle loro valigie di cartone in attesa del treno che li porterà lontano, cocchieri sulle loro carrozzelle che attendono i forestieri, giovani provinciali che consumno i loro passi per il corso o per il lungomare parlando di tutte quelle cose meravigliose che non faranno mai, pensionati, cioè “santi in terra” come li chiama il maestro, che attendono chiacchierando su una panchina al sole o intorno ad un tavolo di un bar il loro ultimo appuntamento…
Su tutti i volti c’è una tensione quasi visibile dell’animo e della mente verso qualcuno o qualcosa, c’è quel senso di precarietà, fatto di insicurezza e di solitudine, di quando si vive in uno stato che sentiamo non definitivo, perché la realtà presente, già si svuota di ogni contenuto e nella mente si affollano nuove, allucinate visioni dai contorni incerti e misteriosi. Mi viene spontaneo chiedere a quest’artista, certamente il più amato e il più conosciuto anche in campo internazionale di tutta la fascia costiera campana: - Maestro, dopo tanti successi e tanti riconoscimenti che cosa si aspetta ancora dalla vita ?
Io sono un artista – mi risponde pensieroso – e gli artisti creano sempre, non hanno tempo di aspettare, si sentono sempre paghi e scontenti al tempo stesso, vivono sul filo di sensazioni violente, ma si sento quasi esclusi dalla vita degli altri, quella quotidiana, naturale: Si, anche gli artisti muoiono, ma ti assicuro che non sentono di diventare vecchi.” E quanto sia vera e sincera questa risposta che D’Angelo mi ha dato lo testimonia l’autoritratto che egli si fece nel 1974 all’ospedale San Leonardo, dopo pochi giorni che era stato operato di cataratta all’occhio sinistro. Indomabile e colto è pronto a trovare mille ragioni a chio gli rimprovera di prediligere da sempre questa tematica di tipo esistenziale dimenticando completamente la natura stregata il folklore, i colori e la luce del Sud.
Grande ammiratore della pittura di Vincenzo D’Angelo fu Orio Vergani che scrisse a proposito: Un tono verde-palude, un gioco di verdi pallidi, e di bruni stinti e di grigi disfatti. Subito mi sentii di andare d’accordo con questa tavolozza che non aveva nessun colore <turistico>, nessun frusto riflesso di Piedigrotta. Da Goethe in poi ci siamo probabilmente ingannati sul carattere dell’anima napoletana, sulle capacità di oblii e di improvvise estasi sulla sua canorità, sul suo riso, sul suo vivere di sole. Abbiamo pensato ad un’Arcadia dai cenci pittoreschi, ad un popolo di maschere, ad un canto di sirena. Tutta amabile convenzione che ha avuto, sì, i suoi grandi autentici maestri, ma che ormai si rivela oppressa dal manierismo…”
E Vincenzo D’Angelo fin dal 1926, anno di inizio della sua partecipazione alla vita artistica attiva, ha dimostrato validamente di saper rompere con la tradizione prediligendo un’elaborazione espressiva dove la deformazione del segno e dell’immagine, le atmosfere rarefatte, gli accordi tonali tenui e dolci, i colori smorzati, ma sottolineati da segni incisivi e decisi hanno come una fonte l’esperienza emozionale, spirituale ed esistenziale della vita.
Le sue opere sono esposte in permanenza alla galleria Modigliani di Castellammare di Stabia oltre che in musei e collezioni italiane e straniere.
Anna Iozzino Ruocco
Da Scena Illustrata del 1976
Nota da Wikipedia:
Nacque a Pozzuoli il 09 marzo del 1906 da Procolo e Maria Altura. Giovanissimo si trasferì a Castellammare di Stabia dove nel 1940 sposò la nobile Lucrezia Coppola dei Conti Coppola.
Giovanissimo aderì alla scuola di Leon Giuseppe Buono, di Giovanni Brancaccio e successivamente a quella tosiana di Vincenzo Ciardo.
Fu tra i fondatori della Libera Associazione Artisti Napoletani nel 1930 si trasferì a Castellammare di Stabia, dove nel 1936 costituì, in ricordo di Errico Gaeta, la Scuola dei Pittori di Quisisana e, successivamente, quella di Via Coppola.
Le sue opere furono espsote all'estero, a Praga, Varsavia, Cracovia, Bucarest, Sofia, Bruxelles, Helsinki e, in Italia, al Premio Bergamo, al Premio Michetti dalla fondazione, Premio Suzzara, Premio Posillipo, alla Quadriennale di Roma (1937, 1951) ed alla Biennale di Venezia (1950) solo per citare i maggiori.
Le sue opere si trovano in collezioni private (Pirelli-Milano, Martinez-Parigi, Sormani-Milano, Villani-Milano) e pubbliche (Museo civico di Pescara, Banco di Napoli, Palazzo Strozzi di Firenze, Comune di Castellammare di Stabia).ecc.
Fu anche autore di poesie e racconti: Sciure e Penziere (1966), Il Principe ed altri racconti (1970), Santi in terra (1982).
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