“TEATROMAGIA”, SPLENDIDA RIFLESSIONE SULLA MAGIA DEL TEATRO DI MARCELLINA RUOCCO
Ebbi la prima “Magia” tanti anni fa, quando, bambina, mi ritrovai seduta su una scricchiolante sedia di legno
semilucido, odorante d’umido antico. Era un vecchio teatrino.
Fu così ch’io vidi, meravigliata e anche un po’ spaventata, vivere davanti a me personaggi e cose che fino a
quel momento avevano popolato solo la mia fantasia.
La matrigna di Biancaneve, bella e crudele, nel suo vestito rosso e nero, era là…: parlava mirandosi nello
specchio magico ed io, rannicchiata nel fondo scuro della sala, ero lontana e vicina, fuori e dentro la ‘ Magia ‘.
Passarono molti anni durante i quali Io e lo Specchio, un grande specchio dalla cornice di radica, giocammo
insieme.
E scoprivo che i miei occhi, le mie mani, i miei capelli potevano raccontarmi e raccontare emozioni, pensieri,
storie.
Possedevo solo una luce, la piccola abat-jour della toilette di mia madre, e un costume, il più bello che abbia
mai avuto.
Era una mantellina di lana,azzurro pervinca, lavorata all’uncinetto tutta a gronde, e un bel buco nel mezzo.
Fermata sulla testa con due mollette, si trasformava in una cascata di capelli ricciolosi che io scuotevo di qua e
di là, affascinata da tanta bellezza,
Ma era anche un mantello o una gonna o un tappeto o qualsiasi altra cosa io volessi.
Non sapevo che avrei fatto l’attrice: che bisogno c’era di ‘fare’ quello che già ‘ero’.
Ma un giorno iniziò l’Avventura.
Non più soltanto ‘essere’ attrice, ma ‘fare’ l’attrice.
Che deliziosa struggente emozione recitare e sentirsi ‘sentita’.
Una specie di Amore che contiene, con ansia tenerezza e passione,i sentimenti di chi scrisse, chi interpreta, chi
ascolta.
E lasciarsi andare ai ‘diecimila se stesso’ che l’attore e ognuno di noi è.
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E’ così che si diventa attori?
No. Ma è così che si decide o meglio si capisce, che nella nostra vita ci sono favole continue e i sogni e le
emozioni e gli amori oltre l’orizzonte, sono sul palcoscenico che ci portiamo dentro.
Basta far buio in sala e s’illumina ..l’altra vita.
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Immaginiamo allora che il Teatro sia…la nostra vita di tutti i giorni, ma circondata da infiniti specchi che ci
rimandano immagini, gesti, parole, suoni, musica, luci…e noi, nel mezzo; coriandoli tra i coriandoli.
Il ‘Teatro’ non esiste: ogni attore, e teatrante in genere, lo inventa nel momento in cui lo possiede e lo possiede
nel momento in cui lo inventa.
Avvengono strane cose sul palcoscenico. Se sei brutta, diventi bella…se hai paura, diventi coraggiosa…se non
sei amata…ti fai amare e quel breve spazio delimitato da fili elettrici, da quinte e pertugi, da spifferi d’aria, da
odori senza odore, dai volti ansiosi dei colleghi è casa tua dove camminare, muoversi con naturalezza come se
il mondo, tutto il mondo, fosse lì.
Un contenitore senza porte, perchè tu possa, se vuoi, evadere…
Con gli spazi precisi: un fondale sul quale stagliarsi e un proscenio sul quale affacciarsi, senza cadere.
Un mondo interiore di sentimenti ed emozioni nel quale entri ed esci continuamente. Sei là… sotto gli occhi del
pubblico, sotto i tuoi stessi occhi e vivi, credendoci, forse un dramma?
Poi te ne esci in quinta, t’aggiusti una cintura slacciata, rubi una boccata di sigaretta a quello che tra un momento
sarà, in scena, il tuo peggior nemico, ti rilassi, ti ricarichi e rientri…
Ricordo una scena bellissima del film ‘Luci della Ribalta’ nella quale Charlie Chaplin, con un violento ceffone, la
ncia sul palcoscenico la protagonista femminile, la ballerina presa dal panico.
Si rientra in scena sempre così: dandosi un ceffone.
E sulla scena si incontrano i compagni di un viaggio.
Anche se a volte solo per pochi giorni o pochi mesi, essi diventano addirittura degli alter-ego, come avviene
nella primissima infanzia, quando i bambini si appropriano degli altri, non sapendo, non volendo ancora sapere
che vuol dire ‘altro da sè’
e usano persone e cose solo in quanto facenti parte del ‘loro mondo’.
Buio! Sipario.
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