Le pacche secche in Calabria erano le mele tagliate a metà e messe a seccare al sole, definite cibo per poveri; altra notiza le cita a proposito della Quaresima " che viene presentata con la tipica filastrocca: ”Quaresima secca secca ca se magne pacche secche, le ricietti dammmenne una me schiaffai nu cinqu’frunni, le ricietti rammenne n’ata me schiaffai ‘na zucculata” (Alberto Virgulto da Sessa Aurunca) senza indicare una ricetta.
La ricerca è continuata senza darmi quel conforto che cercavo. Tutte le notizie scaturite dalla ricerca portavano in direzione di frutta messa ad asciugare al sole o di prodotti singoli, ma nessuna mi ha dato quel conforto che cercavo sulla ricetta che sto per segnalarvi.
Quando l'appresi ero un ragazzino di cinque o sei anni, mi trovavo presso la famiglia di mia madre che a Torre centrale conduceva in affitto alcuni moggi di terreno agricolo dai quali tiravano il loro sostentamento.
Un giorno d'estate notai una delle mie zie mettere al sole su un piano di legno pezzi di melanzane ricavati da quelle che non venivano inviate al mercato perchè in parte rovinate, delle zucchine che si trovavano nelle stesse condizioni e una pianta grassa che chiamavano "purchiacchielle" che estirpavamo da solchi che curavano ma commestibile, che giunge sulle tavole partenopee sempre in unione con un’altra erba/insalata detta arucola (rughetta). La pianta ha un fusto ramoso e piccoli fiori gialli ed è della famiglia delle Portulacacee.
Ogni volta che passava davanti a quel piano rivoltava le cose messe ad asciugare per evitare le muffe che avrebbero inevitabilmente prodotte le parti in ombra. A sera le copriva con un panno di tela e ritirava il piano, che non era molto grande, in cucina dove l'aria era ricambiata attraverso la finestra di riscontro posta in cima alla parete di confine con la proprietà adiacente.
La nonna era molto severa sugli incarichi che affidava ad ogni figlia, la maggioranza erano donne, che cercava di addestrare in questo modo alle responsabilità della vita. Eravamo appena usciti dalla guerra e la campagna, posta in prossimità della ferriera, aveva sopportato bombardamenti di ogni sorte anche in pieno giorno. Il recupero delle aree produttive proseguiva alacramente, ma i prodotti ancora esigui venivano inviati principalmente al mercato. Quelli di scarto invece venivano utilizzati in tutti i modi possibili per la parti ancora commestibili per cui i ripiani diventarono più di uno e l'area intorno casa diventò quell'estate un imoianto di essiccazione a cielo aperto.
Quando i prodotti avevano persa tutta l'acqua che includevano venivano messi in sacchette di tela che venivano poi appese in un locale molto ventilato ed ispezionate continuamente.
Quella miscellanea la mangiai ai primi freddi d'inverno. Ne ammollarono nell'acqua bollente una buona chilata e dopo averla sgocciolata la passarono in padella dove avevano messo a cuocere i pomodori presi da quelli che avevamo appesi per la conservazione. assieme a un aglio e un poco poco di peperoncino.
Ultimata la cottura ognuno di noi ricevette la porzione che desiderava e mangiai per la prima volta le pacche secche prima con una certa diffidenza e poi con una certa ingordigia in quanto il sapore del pomodoro le rendeva eccessivamente saporite e gustose.
La nonna mi guardava con occhi increduli anche se sapeva che ero di bocca buona e non rifiutavo mai niente.
Ad un certo punto, quando vide che raccoglievo il sugo residuo dal piatto con pezzetti di pane, mi chiese se mi erano piaciute, risposi con una domanda che la lasciò sbalordita: - Le fai domani un'altra volta ?
E' una vita che non le mangio. Della famiglia di mia madre sono rimaste ancora due sorelle e un fratello, ma non hanno più voglia di riandare alle loro origini, di riproporre pe esperienze passate.
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