DALLA RICERCA ITALIANA IL PRIMO MOTORE A BATTERI AL MONDO
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Ecco la
nuova sorgente di lavoro in nanoscala. Arriva dalla ricerca di base italiana la
messa a punto del primo motore alimentato a batteri al mondo, il cui effettivo
funzionamento è stato di recente documentato in un video pubblicato sul sito
dell’Università La Sapienza di Roma.
Un risultato che apre scenari interessanti dal punto di vista delle nanotecnologie che si deve ad un nutrito team di ricercatori coordinato da Roberto Di Leonardo dell’Istituto Nazionale per la Fisica della Materia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (INFM-CNR) centro di ricerca Soft.
Un gruppo del quale fanno parte Luca Angelani del centro di ricerca di Meccanica statistica e complessità del Infm-Cnr, Giancarlo Ruocco direttore del Dipartimento di Fisica della Sapienza, V. Iebba, Maria Pia Conte, e Serena Schippa del Dipartimento di Scienze di Sanità pubblica della Sapienza e Enzo di Fabrizio, F. De Angelis, e F. Mecarini della Università Magna Grecia di Catanzaro. Dalla teoria quindi, presentata in un articolo sul prestigioso Physical Review Letters del 30 gennaio 2009 [PRL 102, 048104 (2009)], alla pratica.
Il primo motore a batteri infatti è oggi una realtà e frutto della ricerca Made in Italy.
Un ambito estremamente affascinante che si avvale di Escherichia Coli, ovvero i comuni batteri intestinali, indirizzandone le capacità di autopropellenza.
Un risultato che apre scenari interessanti dal punto di vista delle nanotecnologie che si deve ad un nutrito team di ricercatori coordinato da Roberto Di Leonardo dell’Istituto Nazionale per la Fisica della Materia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (INFM-CNR) centro di ricerca Soft.
Un gruppo del quale fanno parte Luca Angelani del centro di ricerca di Meccanica statistica e complessità del Infm-Cnr, Giancarlo Ruocco direttore del Dipartimento di Fisica della Sapienza, V. Iebba, Maria Pia Conte, e Serena Schippa del Dipartimento di Scienze di Sanità pubblica della Sapienza e Enzo di Fabrizio, F. De Angelis, e F. Mecarini della Università Magna Grecia di Catanzaro. Dalla teoria quindi, presentata in un articolo sul prestigioso Physical Review Letters del 30 gennaio 2009 [PRL 102, 048104 (2009)], alla pratica.
Il primo motore a batteri infatti è oggi una realtà e frutto della ricerca Made in Italy.
Un ambito estremamente affascinante che si avvale di Escherichia Coli, ovvero i comuni batteri intestinali, indirizzandone le capacità di autopropellenza.
Ma
come funziona questo innovativo “generatore”?
Il
micromotore è composto da minuscoli rotori, in pratica delle rotelline dentate
in plastica di dimensioni infinitesimali – si tratta di millesimi di millimetro
(40-50 micron) - a otto punte di lunghezze diverse ma orientate nella stessa
direzione, disposte in modo assolutamente asimmetrico tra loro e immerse in un
bagno popolato di batteri della specie Escherichia Coli.
E’ attraverso il movimento caotico e disordinato di questi microrganismi che si genera la rotazione unidirezionale del nanomotore. Sulla funzionalità dei batteri risulta efficace la descrizione che ne dà Giancarlo Ruocco che parla del loro impiego, né più, né meno, come accadeva per gli animali da soma dell’epoca pre-industriale. E ciò grazie ad una motivazione al movimento dovuta alla fame.
E’ attraverso il movimento caotico e disordinato di questi microrganismi che si genera la rotazione unidirezionale del nanomotore. Sulla funzionalità dei batteri risulta efficace la descrizione che ne dà Giancarlo Ruocco che parla del loro impiego, né più, né meno, come accadeva per gli animali da soma dell’epoca pre-industriale. E ciò grazie ad una motivazione al movimento dovuta alla fame.
“Questi
organismi unicellulari – spiega Ruocco - utilizzando come eliche flagelli
azionati da un motore biochimico sono in grado di spostarsi efficientemente
nell’ambiente circostante alla ricerca di nutrienti. Abbiamo scoperto – spiega
ancora Ruocco - che una sospensione attiva di batteri mobili può generare
fluttuazioni fortemente condizionate dalla geometria, in grado di generare un
moto rotatorio unidirezionale di opportuni oggetti asimmetrici immersi nel
bagno batterico. Si è osservato – dice ancora Ruocco – nel corso di un
esperimento che i micro-dischi ruotano nella direzione determinata dalla
asimmetria dei denti con una velocità media di un giro al minuto”.
I risultati, sempre secondo Ruocco, potrebbero risultare utili anche sugli studi in atto sulla cosiddetta “rottura della simmetria”.
I risultati, sempre secondo Ruocco, potrebbero risultare utili anche sugli studi in atto sulla cosiddetta “rottura della simmetria”.
Eppur
funziona, si direbbe. L’intuizione per la messa a punto di motori a batteri in
verità venne attorno al 2006 a studiosi giapponesi. In questo ambito si è mosso
ad esempio Yuichi Hiratsuka dell’Università di Tokyo. Si trattava tuttavia di
un’ipotesi dagli alti costi se confrontati con quelli connessi al procedimento
individuato oggi dai ricercatori coordinati da Roberto Di Leonardo.
“Il
problema di partenza – spiega Di Leonardo – è stato quello di raddrizzare il
movimento dei batteri. Normalmente infatti ogni batterio va in una propria
direzione. I giapponesi in sostanza prevedevano una sorta di tunnel uscendo dal
quale i batteri aderiscono al rotore con una "colla"
biochimica, assumendo una determinata direzione che aziona il moto. La
soluzione da noi trovata – aggiunge il ricercatore – è diversa. La particolare
forma asimmetrica del rotore fa sì che i batteri spontaneamente si incastrino
sul bordo dell'ingranaggio mettendolo in rotazione.
Ma perché proprio gli Escherichia Coli?
Ma perché proprio gli Escherichia Coli?
“Perché –
risponde Di Leonardo – sono innocui, si maneggiano facilmente, sono
autopropellenti. Sono molti inoltre gli studi condotti sulle loro
caratteristiche di nuoto”.
Un batterio, che si sveste delle connotazioni negative fino ad oggi legate ad inquinamento delle acque, e che diventa “amico” divenendo il protagonista dei possibili sviluppi della meccanica miniaturizzata. Il primo motore a batteri, che non a caso figura tra i 27 studi premiati nell’ambito del progetto “Sapienza Ricerca”, costituisce inoltre un esempio di come si svolga la collaborazione tra istituti di ricerca.
Un batterio, che si sveste delle connotazioni negative fino ad oggi legate ad inquinamento delle acque, e che diventa “amico” divenendo il protagonista dei possibili sviluppi della meccanica miniaturizzata. Il primo motore a batteri, che non a caso figura tra i 27 studi premiati nell’ambito del progetto “Sapienza Ricerca”, costituisce inoltre un esempio di come si svolga la collaborazione tra istituti di ricerca.
“L’idea –
spiega ancora Di Leonardo - è partita da me e da Luca Angelani. Ci siamo poi
rivolti ad un gruppo di biologi della Sapienza e via via ad altri ricercatori
tra i quali quelli dell’Università Magna Grecia di Catanzaro”.
Un traguardo frutto della mera ricerca di base il cui valore aggiunto è dato proprio dallo scambio di informazioni e di collaborazioni tra i vari enti.
Si apre oggi per la scoperta la fase del possibile trasferimento tecnologico. Un processo che appare tuttavia lungo e laborioso.
Per Ruocco “i tempi per le applicazioni sono lunghi ma la strada è aperta”. Tra le applicazioni individuate si va dalla movimentazione dei fluidi per analisi biochimiche alla produzione su nanoscala di energia elettrica per il quale il nanomotore funzionerebbe da generatore.
Un traguardo frutto della mera ricerca di base il cui valore aggiunto è dato proprio dallo scambio di informazioni e di collaborazioni tra i vari enti.
Si apre oggi per la scoperta la fase del possibile trasferimento tecnologico. Un processo che appare tuttavia lungo e laborioso.
Per Ruocco “i tempi per le applicazioni sono lunghi ma la strada è aperta”. Tra le applicazioni individuate si va dalla movimentazione dei fluidi per analisi biochimiche alla produzione su nanoscala di energia elettrica per il quale il nanomotore funzionerebbe da generatore.
“La
scoperta – scrivono inoltre Luca Angelani, Roberto Di Leonardo e Giancarlo
Rocco in un articolo su Sapere (Agosto 2009) in fatto di possibili applicazioni
- oltre a fornire un contributo alla comprensione dei fenomeni di
rettificazione del moto in situazioni di fuori equilibrio, apre la strada a
possibili nuove tecnologie, in cui micro - dispositivi passivi vengono
“azionati” dalla semplice immersione in fluidi attivi. Si pensi per esempio –
aggiungono - al campo della microfluidica per applicazione sui cosiddetti
lab-on-chip, veri e propri apparati micro - medicali in cui è richiesta la
micro movimentazione di fluidi. Oppure al campo della robotica miniaturizzata,
in cui è necessario fornire una spinta propulsiva a un micro-oggetto nelle più
diverse applicazioni, dal trasporto di microcapsule contenenti medicinali
all’interno del corpo umano all’auto-assemblaggio di micro dispositivi”.
La ricerca
continua e Di Leonardo annuncia che sta già lavorando alla messa a punto di una
“micro - macchina” che impiegherà i nanomotori a batteri.
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