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sabato 22 ottobre 2011

Tradizione artigianale a marano di Napoli

Marano vanta una tradizione artigianale molto antica e sentita. L'industria delle ceste, tral'altro, contribuì alla nascita delle prime "Società operaie" di mutuo soccorso o dei sindacati degli sportellai.

Il lavoro era a conduzione familiare ed ognuno concorreva, con una precisa distribuzione dei ruoli, alla realizzazione di manufatti assai diversificati.

C'erano i "panari", le "connole", le "spaselle", le sporte "vastase", quelle per il pane, per i fiori, per i meloni, gli "sportoni", i "cuperchi", le "terzarole", i "soprassari", i "cunnulilli" ed i "forni", panari chiusi fin sopra.
Ognuno di questi oggetti per anni aveva la sua collocazione specifica, pur se le loro sfumature oggi sfuggono.
Le terzarole, ad esempio, che erano quadrate e con coperchio, erano utilizzate per l' invio di ricotta fresca in Sardegna!

E' molto interessante soffermarsi sugli oggetti usati per la costruzione delle ceste. C'era il cippo, il coltellaccio da "incurriare", quello da menare e quello da intrufolare. C'era inoltre, il tavolo da ordere, la raspa, lo scanno e vari campioni detti misure. Sono questi nomi dialettali a rendere affascinante l'intero ciclo di lavorazione; ci si rende conto di che cosa significava realmente l'azione dello sfogliare, striscia dopo striscia, un fusto di castago precedentemente infornato per ammorbidirlo.

Tale azione veniva fatta con i denti incisivi e la caduta di tali denti era anche il primo prezzo che inevitabilmente si era costretti a pagare. Ma c'era anche l'avordere, il passà o virmulo, il menà, il tusà è capizze, passà o chirchio, incurrià, 'ntrufilà, per concludere finalmente, con l'alliscià è varre. E' inutile e limitativo tentare di tradurre tali modi di dire che per secoli furono il rosario laico dei maranesi.

Altra particolarità: il mulino per la lavorazione del grano, e a Marano ce n’era più di uno. Il più importante forse era alimentato dalle acque che scendevano dalla cupa Cantarelle, attraversavano via Ferrigno, via Parrocchia e l’attuale Corso Vittorio Emanuele, fino al palazzo Baronale dove era ubicato il mulino del Principe, composto da due grosse pietre in granito.

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